MULTIVERSO srls
Sede legale: Via Guido D'Orso, 9
Uffici: Via Plebiscito 2
91026 Mazara del Vallo TP
REA: TP193985
P.IVA: 02746030812
PEC: multiversosrls@pec.it
e-mail:info@multiverso.edizioni.com
Copyright © 2022-2024 Multiverso s.r.l.s.
DESIATA
di Antonella Marascia
RECENSIONI
Servizio del TGR SICILIA
Edizione dl 17 Gennaio 2024
ore 14:00 [ dal minuto 17:40 in poi]
Servizio di
Lucilla ALCAMISI
Riprese
Maria LUCE BONDI'
Montaggio di
Gioacchino NOVELLO
Narrazione immaginifica e feroce realismo
di Maria LISMA*
Ho letto Desiata. L'ho incontrata fra le pagine di un libro che è storia ed è romanzo, è narrazione immaginifica e feroce realismo.
Non basta avere una storia , bisogna saperla raccontare e l'autrice riesce a farlo, attingendo a ricordi , a fonti documentarie, a cultura personale, con appassionate voci di vento.
Ma soprattutto, nei tratti di Desiata e di tutti i personaggi che a vario titolo le ruotano intorno, c'è la consapevolezza che, malgrado la verità possa mutare con il mutare di chi la rivela, esiste una differenza profonda fra il bene e il male, ed esiste la libertà di scegliere da che parte stare.
Desiata è memoria tristemente attuale ed attualizzata. La sua storia è monito che non tace e che, da questa terra di mare e di vento, si innalza al canto del "mai più".
Ad Antonella Marascia, che può legittimamente chiamarsi "scrittrice" , i miei più fieri complimenti e ancora storie, ancora pagine da riempire, ancora vita da vivere e da narrare.
*Neuropsichiatra
Un romanzo sui generis, emblematico.
Desiata è un romanzo sui generis, nel quale l’autrice ha trasmesso la molteplice profonda dimensione della sua personalità di donna speciale.
Ne è venuta fuori una sorta di “anomalia” rispetto ai diversi standard consolidati della narrativa, non soltanto italiana; una sorta di “specialità” dalle profonde radici siciliane, portata ai livelli alti, come accadde a Verga e a Pirandello, dove il capolavoro nasce dal connubio fra “alto” e “basso”.
E’ così che in quest’opera c’è tutta la passione della memoria tradotta in una magistrale tecnica del racconto, sperimentata dall’autrice già nelle sue opere precedenti, animata dai ricordi personali di quando i nostri nonni “cuntavano” rigorosamente in dialetto siciliano davanti ad un’attenta platea di amici e parenti.
Come in una carrellata filmica scorrono le immagini della vita del tempo, tra Ottocento e Novecento, dalle quali, insieme ad usi e costumi della società dell’epoca, emergono i sacrifici e i pericoli della vita dei pescatori di Mazara del Vallo.
Insieme a questa forma di rivitalizzazione della memoria c’è la componente colta del mondo epico narrato da aedi e cantori della classicità, dal quale l’autrice assimila persino le scansioni ritmiche coniugandole con la plurisecolare sintassi del racconto maturata in Sicilia per via orale.
L’immagine di Desiata entra in questo contesto con tutta la dolcezza e la determinazione del suo amore postadolescenziale passionale e impulsivo; un sentimento che, sfidando il parere dei suoi genitori, la porta ad unirsi al “suo” Vanni, fino all’inaspettato rivelarsi del suo carnefice.
Il tutto è raccontato “al vero” in un misurato equilibrio fra la vicenda della protagonista e l’humus nel quale la sua storia si dipana.
Insieme a questo, c’è il disinvolto coraggio della scrittrice che, al di fuori dai moralismi e dai pregiudizi dei “benpensanti” si produce, ove necessario, in espressioni forti che rendono senza filtri quella arcaica ferinità che anche D’Annunzio fece sua in tante sue opere.
Senonché la violenza di Vanni emerge tragicamente in tutta la sua attualità, riportando il romanzo nel centro di una problematica universale. Scrive Brecht “molte cose sono in una cosa”, soprattutto quando essa diventa sintesi di una ispirazione “alta”.
Ed alta è in verità la parola scritta da Antonella Marascia.
* Prof. Giovanni Isgrò - Docente di Storia dello Spettacolo presso UniPA
Mano nella mano nell'inferno delicato di Desiata
di Fabrizio HOPPS*
La grazia, l'amorevolezza e la poetica non sembra dovessero entrarci nulla con l'orrore dell'omicidio, ancora meno se dovesse trattarsi di femminicidio. La Cortellesi lo ha fatto proprio in questi giorni con un film ed il risultato è sotto gli occhi di tutti: le persone apprezzano enormemente trattare e soffrire per questi orrori in modo umano ed equilibrato. Mutatis mutandis, Desiata e Antonella percorrono insieme le strade dell'inferno, mano nella mano come a sorreggersi a vicenda, per urlare al mondo sottovoce il dolore immenso che queste vite stravolte provocano. In tutti. Un testo fortemente efficace, intrecciato con amore e coraggio.
*Imprenditore
Le figlie dei venti
di Marcella BURDERI*
«Vi sono suicidi invisibili. Si rimane in vita per pura diplomazia, si beve, si mangia, si cammina. Gli altri ci cascano sempre,
ma noi sappiamo, con un riso interno, che si sbagliano, che siamo morti».
- Gesualdo Bufalino - Il malpensante
Ho letto Desiata. Ho letto il primo romanzo di Antonella Marascia. Un romanzo multiplo, corale. Di conseguenza è multipla la maniera in cui lo si può leggere. Lo si potrebbe leggere dal punto di vista dei sociologi e valutare la maturità delle conquiste sociali fin qui fatte: la legge sull’aborto, la legge sul divorzio, la legge sul delitto d’onore…abolito in Italia nel 1981, nel 1981, è il caso di ribadirlo. Ci accorgeremmo di quanto la società e le regole che la orientano percorrano due strade diverse a velocità diverse, per arrivare nello stesso punto l’uno in ritardo e l’altra che guarda già avanti.
Con i giuristi potremmo chiederci allora la qualità della strada fatta. Quanta ancora ne resta da fare nella direzione dell’emancipazione femminile dalla mentalità comune radicata e spesso condivisa, prima di tutto, e poi dalle conseguenze di una mentalità retrograda e ancorata al passato, sulle nuove generazioni. Ci si potrebbe chiedere con coloro che pensano alla società come un gruppo regolato dalle leggi come è possibile che il diritto vada ad una velocità e la vita segua un’altra velocità senza che l’uno incontri l’altra se non a fatto compiuto?
Di questo romanzo dice bene Loris Sanlorenzo: “Un romanzo corale, una tragedia senza tempo con un coro potente su cui spirano i venti favorevoli e contrari delle passioni umane”. Una storia unica che dà voce a mille storie, storie che i cantastorie raccontavano negli angoli della nostra terra ad imperitura memoria.
Ma il racconto di Antonella Marascia, incubazione di decenni, è in fondo è un tentativo di tirar fuori ciò che la vita le ha intarsiato nell’anima. Non il primo intarsio. Il precedente lavoro letterario di Antonella sulle favole altro non è se non il frutto del ricamo fatto su di lei da bambina nelle grandi mani della Nonna e della Madre. Un tatuaggio nero su carne che Antonella restituisce con ritrovata e rinnovata purezza.
Un romanzo storico, vorrei dire, non proprio Verista. La storia raccontata non è storia dei vinti, come vedremo la svolta c’è ed è per sempre. Ma romanzo storico lo è: Antonella Marascia ricostruisce ambienti, mentalità, usi, credenze e costumi della gente della sua città scrivendo una storia nella Storia ben sapendo che quella società ne ha fatta di strada, e che in quel modo non esiste più.
Io provo a leggerlo dal mio punto di vista. Ed ecco che ho finito di leggere e inizio a rileggere, perché questa storia è tante storie. L’espediente del racconto è semplice: ciascun personaggio narra il proprio racconto di quanto accaduto restituendo la propria percezione dei fatti. La Marascia però lascia che la narrazione spiri dai venti e sia restituita dal carattere del vento che le dà voce.
Il fatto è uno: in una Mazara del vallo di primo Novecento una donna di nome Desiderata viene uccisa dal marito. Attorno a questo fatto inizia il ricamo della narrazione. Ma ad uccidere, al di là di quanto accaduto non sono gli uomini, Desiata è una storia in cui a dispetto di quanto accade ad uccidere sono le donne.
Io sono Rosa: cominciamo bene! Rosa si impegnerà per tutto il corso del romanzo a dimostrare che lei è non un’idea, meno che mai un’ideale, né un topos, ma una persona in carne e ossa fatta di sentimenti contrastanti, e capace di parole e gesti, azioni e scelte. Con Rosa iniziano le uccisioni.
Rosa la madre dei venti, la madre delle madri, uccide la madre che nasconde, la madre che perdona tutto, la madre miope, la madre struzzo. Rosa è madre che conosce i Figli profondamente uno per uno, è madre che uccide la madre per antonomasia ed esce dallo stereotipo ed affermarsi come Rosa, madre dei figli deboli che si infuriano, che accarezzano, che spingono e che annoiano, che si appiccicano e che portano rogne, che, in fondo sono portatori di vita buona e cattiva.
Commare Nina. La madre di Desiata uccide le prefiche dell’isola. Uccide le urlatrici di dolore a pagamento e con lei si fa spazio una donna concreta, pragmatica che mai dimenticherà. Nina uccide la donna che perdona e recupera, la donna che cova rancore e ribrezzo per tutta la vita. Nina uccide il topos del porgi l’altra guancia per gridare un dolore senza fiato...quel fiato rubato il cui valore bisogna leggere il libro per riconoscerlo. Ma Nina ha più di un coltello ed uccide la moglie senza un suo pensiero, senza opinione, uccide la moglie che sta un passo indietro per fare spazio alla moglie a
fianco, che sostiene. Nina uccide il marito padrone una volta per tutte e dopo di lei, con lei, emerge la moglie compagna. E infine Nina uccide la madre bambina, quella a cui nascondere la verità, quella incapace perché sempre "coperta" dalla protezione di sorelle, madri, madrina, cognate.
Nina uccide la madre dei figli maschi per forza e dà vita alla madre delle figlie femmine per scelta, figlie sfortunate in quella Sicilia di stereotipi di primo Novecento, sfortunate sì ma non per questo meno figlie.
Giovanna, la madre di Vanni, uccide la fiamma che arde in sè e in fondo compie un suicidio.
Non saprà farcela a far emergere la madre delle madri e sprofonda sotto il carico delle tradizioni, sotto il peso del pare brutto e non si sottrae al rito del “non ti appartieni”. Giovanna ferisce le donne che si ribellano, che alzano la testa ma a morire poi è lei e decreta la condanna a morte anche del figlio.
Desiata. Lei è rea di più di un atto annientatore. Inizia e si presenta da subito capace di uccidere la figlia accondiscendente tout-court e recupera la sua esplosione di vitalità. Non era raro ma Desiata uccide il topos del divario e dimostra che si può essere figlia devota, affezionata e amorevole pur affermando la propria identità volitiva e capace di gridare la fermezza dei suoi sentimenti e questa sua precisa caratteristica sarà alla base delle sue future uccisioni. Infatti poco dopo Desiata uccide la moglie devota, accondiscendente, accudente e si conferma donna Donna, con la sua gelosia, femminilità, individualità, e volontà. Desiata uccide la divinità tutelare della casa e libera se stessa dal ruolo che la comunità le ha riservato. Non è un uccisione senza conseguenze, si badi bene. Desiata paga la sua scelta di libertà più volte. Ma questo prezzo è ciò che la incastona tra le eroine dei racconti.
“Faticava a diventare moglie" perché non seppe rinunciare a se stessa dice la scrittrice. Desiata uccide Desiata e rivendica la libertà per le donne del futuro. Desiata uccide le donne che credono di non avere le ali, che credono che a loro non sia concesso di sperimentare l’ebrezza della speranza. Desiata è donna Maga, non sa ancora come volare eppure il desiderio è così pregnante, così puntuale, così impellente che non può e non vuole rinunciare. Desiata sa volare, è solo che deve provare. E lei prova. E nel provare Desiata diventa la vera dragonara. Non resta altro da fare al povero Vanni che seguire il destino: “Pigghiala stoccala nta lu mienzu e l’abbì nta na cava scura…” l’ha presa e l’ha spezzata.
Ma a morire è Vanni, condannato a morire a vita. E ad ucciderlo è stata Desiata. Desiata ci svela che a morire è Vanni. Che lei, sì, era stata ridotta in fin di vita, rimasta in vita per pura diplomazia, ridotta a sopravvivere in quel limbo in cui “si beve, si mangia, si cammina. Lo sappiamo tutti che è così gli altri ci cascano sempre, ma noi sappiamo, con un riso interno, che si sbagliano, che siamo morti”.
Desiata in fondo è premorta, quando ha iniziato a subire, a perdonare, a passare sopra a tutti i soprusi e i tradimenti, quelli del corpo e quelli dell’anima. Ma poi è rinata nel momento in cui è apparentemente morta. Quel gesto che le ha tolto la vita fatta di anni, altro non è se non la restituzione per sempre al mondo di una storia che per fortuna abbiamo superato, superato sì, dimenticato mai.
Con Desiata, Nina, Rosa tutte le donne del racconto sono capaci di uccidere tutti gli uomini del racconto. Come in un incantesimo le mamme draghe sanno amare profondamente ma sanno anche odiare, proteggere e distruggere. Gli uomini del racconto no. Sanno solo confermare e perpetuare.
Turi, Vanni, Filippo, Antonio fuori dalle righe delle loro esistenze diventano o restano, per meglio dire, personaggi fedeli al ruolo ad essi assegnato dal destino di nascere uomo. Non hanno bisogno di evolversi, nè di dimostrare ma non lo saprebbero fare perché il ruolo ad essi assegnato non prevede il cambiamento. Ed ecco perché le donne di questa storia li uccidono tutti, li annientano perché sapranno evolvere, sapranno agire e reagire con la loro capacità di intuire, Nina su tutte. A Nina come alle altre non devi spiegare nulla, non devi comunicare nulla. Sanno già. Con la loro capacità di sostenersi per sottrarsi al branco bestiale che le accerchia e toglie loro il fiato e la vista, anche Brigida, anche Marannina anche tutte le figlie dei venti.
* Pubblicista. Ricercatrice indipendente Storia orale del Mediterraneo
A volte basta una frase.
A volte basta una frase, una cantilena, un brevissimo cuntu per fare scattare un’idea che dà vita a una storia, e ordire un romanzo.
-Che vuoi fare la fine di Desiata? -
A volte basta questa scintilla di curiosità, -Chi è Desiata, perché è stata uccisa dal marito, che ha fatto? Ecco che la curiosità si trasforma in un desiderio di andare a fondo alla vicenda, di indagare sulla vittima e sui personaggi che impregnano la storia. Antonella la ricostruisce con una acribia certosina, spinta dalla curiosità tipica di chi immagina di costruire e ricostruire una storia vera, apparentemente banale. Non erano forse banali, addirittura accettati come naturali o meglio canonici in una società dell’estremo lembo di terra del sud del sud, gli uxoricidi, oggi femminicidi?
In questo indagare l’autrice costruisce un intreccio tra personaggi e fenomeni atmosferici in un ordito raffinatissimo in cui i venti raccontano le storie dei personaggi e questi ultimi la storia del dramma centrale di tutto il romanzo, l’assassinio di Desiata. Racconti con tante sfaccettature e punti di vista diversi a seconda del narratore.
E’ tuttavia nella descrizione di particolari, quella dei venti ad esempio, che la scrittura di Antonella mi richiama quello che Pedrag Matvejevic descrive nel suo Breviario Mediterraneo: "Gli abitanti del Mediterraneo parlano meno di onde che di venti, forse per il fatto che questi ultimi influiscono maggiormente sugli stati d’animo, e in definitiva sulla parole stesse.
…la poesia attribuisce al vento qualità maschili e femminili, erotiche, genitali e mortali, adulatorie, furiose, umili, musicali, peculiarità per cui viene a far male la testa e anche quelle che rendono la vita più bella, quelle che ispirano o parodiano i nostri sforzi e le illusioni… i venti erano le divinità del Mediterraneo."
Così scriveva il grande antropologo.
Nel romanzo la descrizione ambientale è subito riconosciuta, i personaggi si alternano in un turbinio di sentimenti contrastanti che rendono dinamici il susseguirsi degli eventi in una società matriarcale che ha il compito di tirare su la famiglia, in un palcoscenico di donne spesso omologate alle regole. Donne rassegnate, donne orgogliose, donne violente, donne frustrate. In questo caleidoscopio caratteriale i maschi non sono da meno; al buon senso fa da contraltare la violenza istintiva, all’emancipazione sociale si contrappone l’adeguarsi alle regole sociali di quel paese intriso da tante tonalità grigie. E poi tanta rassegnazione a quelle regole che solo pochi hanno il coraggio o la forza di scardinare.
Desiata è l’eroina? Il padre Turi è l’eroe? Vanni è il demonio? Io mi sono fatto un’idea, ma la tengo per me.
*Prof. Luigi TUMBARELLO / Istituto Euro Arabo - Mazara del Vallo
Desiata, il romanzo corale di Antonella Marascia.
Un romanzo corale, una tragedia senza tempo con un coro potente su cui spirano i venti favorevoli e contrari delle passioni umane.
Se bastasse questa sintesi, il lettore potrebbe chiedersi come sia possibile che un romanzo come “Desiata” possa essere al tempo stesso la storia di una donna e quella di un’intera comunità e del territorio in cui vive.
Eppure, l’opera prima di Antonella Marascia, concepita in decenni e finalmente espressa come un parto liberatorio, riesce ad essere tutto questo e molto altro ancora. Vi convivono memorie e racconti, esperienze ed emozioni, sentimenti e carnalità, indagini su fatti realmente accaduti e ricostruzioni puntuali che l’autrice ha ricamato in una trama che affascina ed appassiona, intessuta com’è tra i venti di una terra che è anche mare, di una costa che è anche orizzonte.
Sul piano letterario “Desiata” può collocarsi tra “I Malavoglia” di Giovanni Verga per le connotazioni veristiche che il testo presenta, “Canne al vento” di Grazia Deledda (Premio Nobel per la Letteratura 1926) per l’analisi spietata della condizione femminile che la scrittrice sarda ne fece già un secolo fa e “Ulisse” di James Joyce con specifico riferimento al monologo di Molly Bloom, un flusso incessante di idee, memorie, sensazioni, percezioni che scorrono liberamente e senza pause o cesure, proprio come fanno i pensieri nella mente umana e che fu il primo e scandaloso esempio di narrazione dell’interiorità femminile. Due autori e un’autrice non a caso profondamente isolani come lo è Marascia nella sua dichiarata e praticata appartenenza alla propria terra e al mare che la lambisce.
Nel romanzo l’espediente letterario di affidare versioni del medesimo racconto alla narrazione di più soggetti che intervengono nella vicenda restituisce una dimensione da teatro greco in cui dal coro, vero protagonista della scena, si staccano di volta in volta, come se facessero un passo in avanti, la vittima, il padre, la madre, i fratelli ma anche il carnefice, la sua famiglia, la sua amante, i suoi amici, gli inquirenti, fino al grido straziante della giovane che smarrisce la ragione dopo aver appreso della tragedia di Desiata.
Ciascuno racconta la propria interpretazione dei fatti che l’autrice lascia fluire senza giudicare, giustificare, condannare, quasi a com-piangere con essi poiché vittime tutte di venti favorevoli o contrari che spirano su quel mare il cui orizzonte è l’Africa e su quel porto-canale dove i pescherecci dei novelli “Malavoglia” mazaresi, si rifugiano al sicuro dalle mareggiate ma non del vento Marrobbio che, impetuoso ed imprevedibile, ne risale il corso, seminando distruzione.
Il romanzo della Marascia è racconto potente della forza dei sentimenti che come i venti governano la rotta e il destino di tutti i personaggi tra cui giganteggia il padre di Desiata, Turi Tramontana, icona del capo-barca responsabile di ogni membro dell’equipaggio che assume su di sé le ragioni della figlia, difendendone – contro ogni conformismo del tempo – il diritto di abbandonare il marito-padrone e la libertà di rifarsi una vita.
Ma “Desiata” è soprattutto elegia di matriarche nero vestite come sovente nel Sud, che rivendicano la propria identità culturale e sessuale contro ogni edulcorato tentativo di nasconderne gli aspetti più aspri e carnali.
Donne maghe che, per richiamare il testo di Erica Jong di cinquanta anni fa, non hanno paura di volare ma si abbandonano al vento delle passioni senza dare ascolto all’invito conformista di esercitare quel “buon senso” spesso figlio della paura di cambiare persone, ambienti, abitudini rassicuranti anche se pagate a caro prezzo con pezzi di libertà e di identità.
“Desiata”, dunque, non è solo il racconto di un femminicidio, ciascuno drammatico a proprio modo, ma del contesto in cui esso può maturare e, pur non assolvendo il responsabile materiale del delitto, l’autrice dà conto di culture, pregiudizi, conformismo e soprattutto alla colpevole e profonda ignoranza che gli uomini hanno della complessa interiorità femminile regolata da venti impetuosi che ne agitano costantemente ogni fase della vita donando loro in cambio una specifica fertilità psicologica che, una volta rimossi gli ostacoli culturali, ne garantisce il raggiungimento di risultati straordinari in ogni settore.
Un’indicazione socio-antropologica che Marascia consegna soprattutto al lettore maschio come parte di un’inedita educazione sentimentale che, ben oltre il banale meccanicismo dell’educazione sessuale, troppo a lungo è stata trascurata dalle famiglie e dalle altre agenzie educative.
https://www.nuoviapprodi.it/desiata-il-romanzo-corale-di-antonella-marascia/